L'autore Antonio Persili, sacerdote tiburtino, svolge
ricerche di natura storico-archeologica e di esegesi biblica.
Ha pubblicato i seguenti libri di esegesi:
- Sulle tracce del Cristo risorto
- L'istituto dell'alleanza
- Il Battesimo
In campo storico ha pubblicato sulla rivista 'Atti e memorie della
Società Tiburtina' due saggi:
- La chiesa del Beato Pietro apostolo inter duos ludes
- La chiesa cornuziana di Valila Goto a Tivoli
Sulle tracce del Cristo risorto
L'opera di Antonio Persili, Sulle tracce del Cristo
risorto è suggestiva e importante per tre ragioni:
- interpreta e traduce in modo nuovo, plausibile e coerente, la
parte del vangelo di Giovanni riguardante la resurrezione:
scoprire qualcosa di diverso in un testo passato al microscopio
da due millenni è un fatto straordinario;
- smonta letture più autorevoli e blasonate (tra cui la
traduzione raccomandata dalla Conferenza Episcopale Italiana) con
mezzi artigianali (ma non è artigianale la sagacia
interpretativa), confermando il sostanziale parassitismo di
'autorevolezze e blasoni', vero ostacolo all'innovazione;
- sceglie, pur nella cura dell'esame filologico, un taglio
letterario 'investigativo', di grande modernità, che rende
la lettura a tratti affascinante.
Con il consenso dell'autore si riporta il paragrafo centrale
del libro.
5.B. IL CUORE DELLA TESTIMONIANZA
Giovanni 20,5-7: 'Chinatosi, vide le bende per terra, ma non
entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed
entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario,
che gli era stato posto sul capo. non per terra con le bende, ma
piegato in un luogo a parte’.
Se questa è la testimonianza di Giovanni, si potrebbe anche
ammirare la fede dell'apostolo, ma si dovrebbe dubitare molto della
sua capacità di giudizio, perché in questa relazione
non c’è niente che faccia pensare all'evento della
risurrezione.
Che significato possono avere le bende per terra ed il sudario
piegato in un luogo a parte?
Possono significare solo l'opera di uno che non sa quello che fa,
perché una cosa la lascia cadere a terra ed un'altra invece
la piega e la ripone in un luogo a parte. Forse si comporta in
questo modo, perché il sudario, essendo piccolo, era facile
da piegare, mentre le bende, essendo molto più grandi, era
più difficile da arrotolare? Se dovessi credere solo per
questa testimonianza, io sarei incredulo e credo che molti
condividerebbero questa mia incredulità.
Come per esempio Antoine Lion, che scrive: 'Giovanni... vide e
credette: diversamente dagli altri egli, solo, giunge a credere
senza l'appoggio di una apparizione, fondandosi unicamente sul
segno della tomba vuota ed ordinata. Al di là di questo
fatto che si poteva interpretare diversamente, egli vide, solo, a
quanto pare, il compimento delle parole di Gesù' (77).
Dunque Lion, onestamente, ammette di non capire per quale motivo
Giovanni abbia creduto, vedendo l'interno del sepolcro, e
chiaramente fa capire di non condividere il giudizio del giovane
apostolo, che sembra essere l'opposto dell'apostolo Tommaso.
Finché la testimonianza del grande apostolo, che Gesù
amava, sarà così malamente interpretata, Giovanni
rimarrà veramente solo (come sottolinea Lion) a credere,
senza l'appoggio delle apparizioni. E non è giusto,
perché tutti hanno il diritto di poter credere, senza avere
apparizioni, specialmente noi del ventesimo secolo. Esigere questo
diritto non è in contrasto con quanto Gesù ha detto
all'apostolo Tommaso, quando lo rimproverò per la sua
incredulità: 'Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani
stendi la tua mano, mettila nel mio costato e non essere più
incredulo ma credente!' (Gv 20,27). Infatti non si pretende di
vedere Cristo risorto e di sottoporlo ad un esame, per accertarne
l'identità, ma si vuole solo comprendere dove sta, nella
testimonianza di Giovanni, la forza persuasiva, che lo ha portato
alla fede.
Salvatore Garofalo traduce così questi versetti: 'Giunge
anche Simon Pietro, che lo seguiva, e vede i pannilini per terra e
il sudario, che era sul capo di Gesù, non per terra con i
pannilini ma avvolto a parte, in un altro posto' (Gv 20,5-7). Poi
spiega in nota: 'Il fatto che i pannilini e il sudario si trovavano
ripiegati a parte escludeva una violenza fatta alla salma: se
qualcuno avesse voluto rubarla o asportarla non avrebbe perduto
tempo a disfare le fasciature ed a riporre in ordine' (78). Questa
spiegazione non è soddisfacente per due motivi: prima di
tutto, perché si basa sul falso presupposto che tutto sia in
ordine nell'interno del sepolcro, mentre i pannilini per terra
indicano certamente disordine e forse anche violenza; in secondo
luogo, perché la spiegazione potrebbe dimostrare solo che il
corpo di Gesù non è stato rubato e non che il corpo
di Gesù sia risorto, mentre Giovanni aveva concluso che
Gesù era risorto. Dunque Giovanni non ha visto quello che
dice Salvatore Garofalo ma qualche altra cosa di completamente
diverso.
Inoltre ci possiamo domandare: Se il sudario non l'hanno ripiegato
i ladri, chi l'ha ripiegato? E perché costui non ha piegato
anche i pannilini? Perché il sudario è stato messo in
un luogo a parte? Quale può essere quest'altro luogo in un
ambiente ristretto qual è quello di un sepolcro
monoposto?
Potremmo continuare a porci domande, che rimarrebbero senza
risposta e non ci sarebbe altro da fare che credere senza
capire.
Sembra quasi che per essere cristiani si debba avere una logica
diversa da quella comune a tutti gli uomini. E ciò non
è vero! è evidente che, nella relazione di Giovanni,
le tracce della risurrezione sono rilevabili nella diversa
posizione che hanno assunto, dopo la risurrezione, le
othónia e il sudario, la cui trattazione costituisce
il centro di questa quinta parte, che sarà preceduti da una
chiarificazione sulla forma del sepolcro e seguita da una
riflessione sulla testimonianza petrina.
5. B. 1. La forma del sepolcro.
Il sepolcro di Giuseppe d'Arimatea è il sepolcro di un
ricco, scavato nella roccia viva, per contenere una sola salma.
L'archeologo Parrot scrive a questo proposito: 'La tomba di
Gesù era certamente del tipo a bancale con arcosolio: in una
tomba o kokim, infatti, non sarebbe stato possibile mettersi a
sedere (Mc 16,5; Gv 20,1,2). E’ senza dubbio sulla tavola che
furono depositati il sudario e i pannilini, che erano serviti per
avviluppare il corpo (Lc 24,12; Gv 20,7)... Infatti, ci è
riferito espressamente che uno dei primi testimoni della
risurrezione, Giovanni non vi entrò immediatamente, e che
dovette chinarsi per vedere nell'interno del sepolcro (Gv 20,5).
Questa osservazione è importante, perché le porte di
un ipogeo sono così basse che per lo più bisogna
chinarsi per attraversale e gli occhi di un uomo, che rimane in
piedi, vengono a trovarsi al di sopra dell'architrave della porta'
(79).
Da respingere, invece, è la ricostruzione del sepolcro fatta
da Werner Bulst, che, in base alle ricerche archeologiche di G.
Dalman, ha ipotizzato che il sepolcro di Gesù non fosse 'a
banco', ma a forma di truogolo, scavato nella rupe (80). Il Bulst
propone questa ipotesi per vari motivi, che non risultano probanti,
ma soprattutto perché volendo difendere l'autenticità
della Sindone, ritiene che il sepolcro a truogolo avrebbe favorito
il formarsi delle impronte ortogonali sulla Sindone. Ma l'ipotesi
contrasta con l'affermazione di Giovanni, che, chinatosi, vede le
fasce. Se il sepolcro fosse stato in forma di truogolo, non avrebbe
potuto vederle.
Possiamo aggiungere che Giovanni vide la parte della pietra
sepolcrale dove giacevano i piedi, altrimenti avrebbe visto anche
il sudario; e che la salma non giaceva per terra, perché nei
sepolcri dei ricchi, come dimostra l'archeologia, non è
stata mai trovata una salma sul pavimento del sepolcro, e
perché, se così fosse, Giovanni avrebbe visto tutte
le tele, compreso il sudario. Cosa rimane oggi del sepolcro di
Gesù? Rimane un'edicola, che sorge al centro della Rotonda
della Basilica del Santo Sepolcro, detta anche Anàstasi,
che, rinnovata più volte lungo i secoli, risale, nelle
strutture fondamentali, all'epoca di Costantino.
Ma leggiamo quanto dice un'accurata 'Guida di Terrasanta':
'L'interno dell'edicola è diviso in due parti. La prima
parte corrisponde al vestibolo della tomba, è detta anche
cappella dell'Angelo, essa si trova immediatamente davanti
all'apertura del sepolcro. Infatti, la piccola porta, che immette
nel secondo locale, tutta rivestita di marmo, è il passaggio
originale della tomba, che era chiuso con una pietra rotonda. Al
centro dell'atrio vi è una bassa colonna, che custodisce,
sotto un vetro, un pezzo originario della pietra rotonda che
chiudeva il sepolcro. Un'angusta porta (alta mt 1,33) immette nella
stanza sepolcrale vera e propria. Sulla destra, un banco di marmo
ricopre la roccia originale sulla quale riposò il corpo di
Gesù dalla la sera del venerdi santo al mattino di Pasqua'
(81).
La stanza sepolcrale è piuttosto uno stretto corridoio,
largo poco più di un metro e lungo poco più di tre
metri. Sulla parete destra, rispetto all'ingresso, è scavato
un loculo, sovrastato da un arco.
Non deve destare meraviglia che il Santo Sepolcro si trovi
all'interno di una chiesa, perché l'imperatore Costantino,
dopo la conversione, costruì basiliche su tutti i luoghi
santi del cristianesimo: a Betlem costruì una chiesa sulla
Grotta della natività; a Gerusalemme costruì la
Rotonda dell'Anàstasi sul Santo Sepolcro, dopo averlo
isolato dalle tombe circostanti e aver tagliato la roccia per ampio
tratto; di fronte al Golgota costruì la Basilica, chiamata
'Martyrium'; a Roma costruì una Basilica sulla tomba di San
Paolo, deviando il corso del Tevere; e ancora a Roma costruì
un'altra Basilica sulla tomba di San Pietro, spianando il colle
Vaticano.
Oggi, la Basilica dei Santo Sepolcro, che copre insieme il Golgota
ed il Sepolcro, si presenta, all'interno della Città Santa,
come una vecchia costruzione, incastrata tra altre vecchie
costruzioni. Chi entra, prova una grande delusione, perché
tra altari, colonne e cappelle, non è facile rintracciare la
collina del Golgota ed il sepolcro di Giuseppe d'Arimatea nel
giardino vicino.
5.B.2. La posizione delle fasce.
La posizione delle othónia è indicata da
Giovanni soltanto con due parole, ripetute però, sotto forma
leggermente diversa, in ciascuno dei tre versetti che stiamo
esaminando, per sottolinearne l'importanza: tà
othónia keímena. Gli esegeti sono divisi sul
significato da attribuire a queste due parole, che la Volgata
Sisto-Clementina traduce: Linteamina posita, e la traduzione
italiana, rende con la frase: 'Le bende per terra’’.
Per comprendere cosa Giovanni voglia dire è necessario
procedere ad un'attenta analisi dei due vocaboli.
a. Il sostantivo: Tà othónia.
La traduzione di questo sostantivo è oggetto di vivace
discussione tra gli esegeti ed è strettamente legata al
significato della medesima parola, usata in Giovanni 19,40 ed in
Luca 24,12. Il sostantivo othónia (diminutivo di
othóne) può avere molti significati: prima di
tutto 'pezza; pannilino; fascia'; poi 'tessuto, panno di lino';
inoltre 'vela; tela per vele'; infine 'veste di lino; tunica
leggera' (Vocab. Rocci).
Prendiamo in esame l'opinione di alcuni esegeti:
a1. Per Alberto Vaccari il sostantivo othónia avrebbe
il significato generico di 'tele' e designerebbe ogni specie di
manufatto: lenzuolo, bende, sudario. Fonda questa convinzione sulla
testimonianza di un papiro della John Rylands Library di
Manchester, appartenente all'archivio di Teofane, un egiziano al
servizio di Roma, del 320 dopo Cristo. In questo papiro, in
verità, othónia ha veramente un valore
generico ed indica una grande varietà di manufatti (82). Ma
anche se nel papiro citato othónia ha il significato
di 'tele', nei vangeli può avere un significato diverso.
a2. Per J. Blinzer le othónia sono delle 'bende',
ottenute da Giuseppe tagliando la sindone, perché Giovanni
dice che Gesù fu legato e non avvolto. Non è
possibile legare un corpo con un lenzuolo, ma solo con le bende.
Perciò othónia è da intendere come
'bende' (83). L'osservazione è pertinente, ma non è
semplice legare un corpo nudo con le bende, ed evitare, nello
stesso tempo, di spargere il sangue di vita.
a3. Per C. Lavergne il sostantivo plurale othónia
è la stessa cosa che sindón e sarebbe stato
usato da Giovanni al plurale, per indicare estensione e
perciò significherebbe 'lenzuolo grande'. Il Lavergne
aggiunge che delle bende possono essere state usate per legare le
mani ed i piedi, così come un sudario sarà stato
usato per chiudere la bocca (84). Ma rimane sempre una
difficoltà: perché Giovanni, pur sapendo che
Gesù, secondo i sinottici, è stato avvolto in una
sindone, dice di aver visto delle othónia? Giovanni
non poteva valutare la grandezza del lenzuolo, perché era
avvolto attorno al corpo di Gesù e perciò non aveva
nessun motivo di usare una parola diversa o al plurale.
a4. Per M. Balagué la parola othónia ha il
significato generico di 'tele', come per il Vaccari, e
perciò in Giovanni indicherebbe insieme sia il lenzuolo che
le bende. Adduce come prova il fatto che i sinottici usano la
parola 'sindone', ma che poi Luca, uno dei sinottici, usa il
termine othónia, quando Pietro visita il sepolcro (Lc
24,12). Perciò i due termini sarebbero equivalenti (85).
Questa soluzione suppone che la sepoltura sia stata fatta
avvolgendo il corpo di Gesù in un lenzuolo, come dicono i
Sinottici. Ma, se Luca racconta che Pietro, dopo la risurrezione,
vide nei sepolcro le othónia significa che sul corpo
di Gesù fu operato qualche altro intervento.
a5. Infine anche per A. Feuillet le othónia hanno il
significato generico di 'tele'. Giovanni avrebbe preparato il
momento della scoperta nel sepolcro con il versetto 19,40 che
contiene un modo di esprimersi che sembra illogico, ma è
illuminante: 'Lo legarono con tele', invece di 'lo avvolsero con
tele'. Infatti, Giovanni lo scrive, - nota il Feuillet - avendo in
mente lo spettacolo che poi avrebbe visto nel sepolcro dopo la
risurrezione (86). Ma forse è meglio tradurre ogni parola
secondo il suo significato, piuttosto che fare delle congetture,
anche se brillanti, e tradurre: 'Lo legarono con fasce'. E, anche
dopo la risurrezione, Giovanni vide le fasce.
a6. Dopo aver dato conto delle opinioni di alcuni esegeti, ora
illustro la mia traduzione ed interpretazione.
A mio parere, il significato più probabile del sostantivo
othónia, sia in questo brano che negli altri due
sopra citati, è 'fasce'. Nell'episodio di Lazzaro, Giovanni
dice che il morto uscì dal sepolcro con le mani e i piedi
legati con bende (cfr. Parte seconda 2.C.2.c.), ed usa il vocabolo
keiríai, cioè 'bende', le quali erano appunto
adatte a questo scopo (cfr. Parte seconda 2.D.). Nel caso di
Gesù, invece, trattandosi di avvolgere e legare il corpo
intero, le bende non sarebbero state adatte, perché troppo
piccole di altezza. Perciò Giuseppe usò le fasce che,
avendo un'altezza maggiore, resero il lavoro più spedito e
più efficiente per il versamento dei profumi.
A conferma di questa traduzione, si può consultare il
Bonazzi (87), che traduce il sostantivo othónion con
i seguenti vocaboli: 'piccolo pezza, striscia di lino, fascia (da
avvolgere i cadaveri)'; o anche il vocabolario dello Schenkl, che
traduce: 'picciol pezzo di lino fino; le bende, con le quali gli
Ebrei solevano avvolgere i cadaveri NT' (88). La parola
tà othónia può avere più di un
significato, ma in questo testo evangelico la logica del discorso
esige che sia tradotta con la parola 'le fasce'. Infatti, Giovanni
non poteva avere l'intenzione di darle il valore di 'tele',
perché avrebbero opposto una parola dal significato generico
ad una parola dal significato particolare: il sudario. Non avrebbe
avuto senso l'affermazione che 'le tele erano distese ed il sudario
non era disteso', come se il sudario non fosse anch'esso una tela.
La logica del discorso esige che la parola tà
othónia indichi una tela in particolare, come il
sudario. La parola tà othónia non può
neanche significare 'le bende' nel senso di legature, per sostenere
la sindone intorno al corpo di Gesù. Infatti, se Giovanni
avesse voluto darle questo significato, avrebbe dovuto aggiungere
la parola 'sindone' ed avrebbe dovuto esprimersi così: 'Le
bende e la sindone erano distese e il sudario non era disteso'. Le
bende non potevano essere distese, senza che lo fosse anche la
sindone, e, poiché le bende non avrebbero potuto coprire del
tutto la sindone, essa sarebbe stata visibile.
Infine la parola tà othónia non può
essere equivalente alla parola 'sindone', perché non avrebbe
avuto senso usare una parola al plurale, per indicare una tela in
particolare, e perché la sindone avrebbe dovuto essere
tenuta ferma da legature, che qui non verrebbero nominate. Tutte
queste difficoltà si risolvono, se si traduce la parola
tà othónia con la parola 'le fasce'. Infatti,
è normale che questo tipo di tela sia indicata con il
sostantivo plurale, come del resto anche in italiano.
La parola tà othónia indica le fasce e non le
bende intese come legature, perché Pietro e Giovanni non
vedono la sindone, completamente nascosta dalla fasciatura. La
parola tà othónia indica una sola tela in
particolare e perciò può essere usata logicamente in
opposizione alla parola sudario.
E vero che gli Ebrei non usavano avvolgere i cadaveri con le fasce,
ma le particolari circostanze della morte di Gesù indussero
Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo ad usare questo procedimento, forse
normalmente usato per gli uccisi con spargimento di sangue, che ha
avuto il pregio di rendere più evidenti le tracce della
risurrezione. Ma, per dimostrare la giustezza di questa
interpretazione e traduzione, non è sufficiente far ricorso
ai vocabolari, all'analisi letteraria, all'esegesi del testo, ma
è necessario procedere anche alla ricostruzione della scena
della preparazione del corpo di Gesù alla sepoltura, come
gli investigatori, per scoprire l'autore di un delitto,
ricostruiscono la scena in cui è stato commesso.
b. Ricostruzione della scena della sepoltura.
L’opera da eseguire è la sepoltura del corpo di
Gesù, che è privo delle vesti ed è deturpato
da innumerevoli ferite, alcune delle quali con copiose colature di
sangue. I mezzi a disposizione sono: un rotolo di sindone (o tela)
portata da Giuseppe d'Arimatea (Mc 16,46) e trentadue chili di una
mistura di mirra e di àloe, portata da Nicodemo. (Gv 19,40).
Abbiamo la testimonianza dei sinottici, che riferiscono il racconto
di testimoni oculari, e dicono che il corpo di Gesù fu
avvolto nella sindone e poi deposto nel sepolcro. (Mc 16,46).
Abbiamo anche la testimonianza di un testimone oculare, secondo il
quale il corpo di Gesù fu legato con fasce insieme ai
profumi e poi deposto nel sepolcro ((4v 19,40). Lo stesso testimone
dice che, entrato nel sepolcro, dopo la risurrezione, vide le fasce
e il sudario. Sappiamo inoltre che i morti per violenza e con
spargimento di sangue dovevano essere seppelliti con il proprio
sangue e perciò non dovevano essere né lavati,
né unti, ma avvolti in un lenzuolo. Con questi elementi a
nostra disposizione, possiamo tentare di ricostruire come Giuseppe
e Nicodemo prepararono il corpo di Gesù per la
sepoltura.
b1. La maggior parte degli esegeti che abbiamo citato afferma che
la sepoltura di Gesù avvenne secondo il racconto dei
sinottici. Giuseppe avrebbe acquistato un lenzuolo, con esso
avrebbe avvolto il corpo di Gesù e poi lo avrebbe deposto
nel sepolcro.
Questa soluzione presenta gravi difficoltà. Sappiamo che il
corpo di Gesù fu preparato alla sepoltura su una pietra, che
si trovava nei pressi del sepolcro, e che di lì fu
trasportato nell'interno della tomba. Ma come avrà fatto
Giuseppe a sistemare il solo lenzuolo? Lo avrà lasciato
disteso o lo avrà ripiegato? E, se lo ha ripiegato, come ha
fatto a trasportare il corpo di Gesù senza far muovere il
lenzuolo? Lo ha legato con alcune bende, come dice il Vaccari:
'Parecchie bende ne legavano i piedi, uno contro l'altro, le mani
una sull'altra o, possibilmente, distese lungo i fianchi, altre
ancora, probabilmente, per tenere la sindone aderente al corpo'
(89).
Questa soluzione presenta molte lacune: perché non erano
sufficienti alcune legature per tenere la sindone aderente al
corpo; perché è del tutto ignorato l’uso degli
aromi, che hanno invece una parte importante nella preparazione del
corpo alla sepoltura; perché, quando Giovanni entra nel
sepolcro dopo la risurrezione, non vede il lenzuolo tenuto fermo
dalle bende, ma vede solamente le fasce.
b2. La sepoltura è avvenuta secondo il racconto di Giovanni.
Giuseppe e Nicodemo, aiutati dai loro servi, avvolgono e legano con
le bende o con le fasce il corpo di Gesù, che giace nudo
sulla pietra dell'unzione e versano fra esse i profumi. Ma, per
quanto stiano attenti, non possono evitare che la mistura vada a
diretto contatto del corpo di Gesù. E questo doveva essere
assolutamente evitato, per non toccare il sangue di vita. Inoltre,
loro malgrado, Giuseppe e Nicodemo, per procedere in questo tipo di
sepoltura, sarebbero stati costretti a palpeggiare il corpo di
Gesù, per spostarlo ora a destra ora a manca, sicché
il sangue si sarebbe inevitabilmente attaccato alle loro mani.
Sarebbe stata una scena difficile da sostenere per un ebreo, anzi
impossibile. Infine, come poteva essere assorbita quella gran
quantità di profumi, se il corpo di Gesù era
ricoperto solo dalle bende o dalle fasce? Anche questa
ricostruzione è impossibile.
b3. La sepoltura di Gesù è avvenuta secondo i
racconti dei sinottici ed insieme secondo il racconto di Giovanni.
Giuseppe d'Arimatea, aiutato dai suoi servi, avvolge il corpo di
Gesù in una tela subito dopo aver deposto Gesù dalla
croce e, così avvolto, lo trasporta sulla pietra
dell'unzione, avendo cura di non toccare assolutamente il corpo di
Gesù con le mani. Sembra che i sinottici si siano
preoccupati di sottolineare il fatto che Giuseppe, avvolgendo il
corpo di Gesù nella tela, eseguì alla lettera la
prescrizione di seppellire il sangue vivo con la salma. Infatti
questa prescrizione, messa poi in iscritto da un testo rabbinico,
che abbiamo già citato (cfr. Parte seconda 2.F.), tra
l'altro diceva: 'Si metta solo sui suoi vestiti una copertura e si
seppellisca anche la terra su cui eventualmente era caduto il
sangue'. La tela costituisce appunto la copertura, che isola il
corpo di Gesù da qualsiasi contatto esterno, ma non è
la preparazione alla sepoltura, che invece viene descritta da
Giovanni (Gv 19,40). Le parti sovrabbondanti della tela vengono
ripiegate accuratamente al di sopra del corpo. Poi, mentre alcuni
tengono ferme le ripiegature, Giuseppe provvede ad avvolgere e
legare il corpo di Gesù con le fasce, mentre Nicodemo versa
la mistura profumata, che viene assorbita internamente dal lenzuolo
ed esternamente dalle fasce. Al termine, il corpo di Gesù,
eccetto il capo, è tutto avvolto nelle fasce, che ricoprono
e tengono fermo il lenzuolo.
Quando Giovanni entrò nel sepolcro, dopo la risurrezione,
vede, appunto, le fasce. Tutte le tele occorrenti (la grande tela,
le fasce ed il sudario) furono preparate, secondo le esigenze,
dallo stesso Giuseppe d'Arimatea, tagliandole dal rotolo di
sindone. Ma comunque sta stato fatto l'avvolgimento del corpo di
Gesù, il segno della risurrezione consiste nella posizione
che le othónia e il sudario presero dopo la
risurrezione. Perciò è importante il verbo, che ora
ci accingiamo a trattare.
c. Il verbo: keímena.
Il verbo keímena è il participio di
keímai, che corrisponde al latino jaceo e
significa: 'giacere, essere disteso, seduto, steso, orizzontale; si
dice di una cosa bassa in opposizione ad una elevata, eretta, come
per esempio il mare calmo rispetto al mare agitato'. (vocab. greco
Bonazzi). Perciò il significato che Giovanni vuol dare a
questo verbo è quello di far risaltare che prima le fasce
erano rialzate (come un mare agitato), perché all'interno
c'era il corpo; dopo la risurrezione, invece, le fasce erano
abbassate, distese (come un mare calmo), giacendo nel medesimo
posto in cui si trovavano quando contenevano il corpo di
Gesù.
E’ arbitrario farle giacere per terra, perché, se
così fosse, Giovanni avrebbe dovuto dirlo espressamente,
aggiungendo una determinazione di luogo, se esso fosse stato
diverso da quello, in cui le fasce si trovavano.
La Volgata nell'edizione Sisto-Clementina traduce con il participio
'posita', che rende bene l'idea delle fasce distese e vuote,
perché il verbo 'ponere' significa appunto 'mettere
giù'.
Perciò le due parole tà othónia
keímena si possono tradurre: 'le fasce distese', ma
intatte, non manomesse, non disciolte. I tre versetti, che
costituiscono il cuore della testimonianza, contengono in
realtà due testimonianze, quella di Giovanni e quella di
Pietro. Nel versetto quinto, Giovanni testimonia di aver scorto 'le
fasce distese' sulla pietra sepolcrale, senza entrare nella camera
mortuaria, chinandosi e gettando lo sguardo all’interno del
sepolcro, attraverso la bassa apertura, di cui abbiamo parlato nel
paragrafo sulla 'forma del sepolcro'. Il giovane apostolo non ci
comunica la sua reazione a questa scoperta. E certo che non
credette subito alla risurrezione, iniziò però il
cammino della fede. Nel versetto seguente, il sesto, Giovanni narra
l'arrivo di Simon Pietro, che entrò immediatamente nel
sepolcro e rimase in contemplazione di ciò che Giovanni
aveva scorto: 'le fasce distese'.
Le 'fasce distese' costituiscono la prima traccia della
risurrezione: era infatti assolutamente impossibile che il corpo di
Gesù fosse uscito dalle fasce, semplicemente rianimato, o
che fosse stato asportato, sia da amici che da nemici, senza
svolgere le fasce o, comunque, senza manometterle in qualche
maniera. Questa traccia sarebbe stata sufficiente per credere nella
risurrezione, ma nel sepolcro v'era una traccia più
sorprendente, che Pietro ebbe la ventura di vedere per primo: la
posizione del sudario.
5.B.3. La posizione del sudario.
Nell'interno del sepolcro non erano visibili solo le 'fasce
distese', ma vi era, visibile, anche 'un sudario'. Giovanni
riferisce la testimonianza di Pietro circa la posizione di questo
sudario nel versetto settimo. Se è importante, per la fede
di Giovanni, la posizione delle fasce, lo è molto di
più la posizione del sudario. è una posizione
così sorprendente che è necessario un intero versetto
di venti parole per descriverla. Cercheremo di analizzare
accuratamente queste parole, per comprenderne il messaggio.
a. Kaì tò soudàrion. 'E il
sudario'.
Il sudario, come abbiamo visto nell'episodio di Lazzaro, non era
altro che un fazzoletto, usato, come dice l'origine della parola,
per asciugare il sudore. E certo che il sudario, al tempo di
Gesù, non aveva uno specifico uso funerario e solo
accidentalmente poteva essere usato in occasione della sepoltura di
un morto. Solo più tardi, sotto l'influsso di una errata
interpretazione di questa pericope, si è fatta una terribile
confusione, per cui il sudario è diventato un panno
mortuario. Si è creduto perfino che il sudario di Giovanni e
la sindone dei sinottici fossero due parole equivalenti; e, quel
che è peggio, si è creduto che sia l'uno che l'altra
fossero delle tele funerarie, delle coltri mortuarie, come per
esempio dice il Vignon (90).
Un fazzoletto è diventato un lenzuolo funerario!
Questa incredibile confusione di termini ha talmente complicato la
testimonianza di Giovanni da renderla incomprensibile. La
traduzione di queste tre parole non presenta difficoltà
alcuna, ma è necessario sapere che il sudario è un
fazzoletto di tela, di Forma quadrata o rettangolare, che poteva
avere dai sessanta agli ottanta centimetri dilato, usato
normalmente per asciugare il sudore, per pulire il naso, insomma
per usi igienici, che solo in casi particolari poteva essere anche
utile per usi funerari. Naturalmente, la traduzione esatta
è: 'E il sudario'.
b. hò ên epì tês kephalês
autoû. 'Che gli era stato posto sul capo'.
Giovanni introduce questo inciso nella testimonianza di Pietro, per
mettere in guardia il lettore dal credere che Pietro stia parlando
dell'altro sudario, che si trovava all'interno della grande tela,
come mentoniera, e che perciò non era visibile. Giovanni
insomma precisa che Pietro ha visto il sudario, che stava
all'esterno, sul capo di Gesù, e non quello che stava
all'interno, intorno al capo di Gesù. Esaminiamo l'opinione
degli esegeti intorno a questo sudario: alcuni pensano che Pietro
intenda parlare proprio del sudario-mentoniera; altri invece
affermano che Pietro non può parlare del sudario-mentoniera,
perché non lo vede, ma di un sudario, che sta sul capo e
perciò visibile; questi stessi poi hanno pareri diversi
nello stabilire la posizione di questo sudario sul capo di
Gesù. Queste sono le opinioni intorno al sudario:
b1. Alcuni, come abbiamo già detto, (cfr. Parte quinta
5.B.2.a3.), hanno identificato il sudario con la sindone, rendendo
impossibile la comprensione della testimonianza di Pietro.
b2. Altri, come A. Vaccari, C. Lavergne, M. Balagué, A.
Feuillet, i cui lavori abbiamo citato a proposito del significato
della parola tà othónia, identificano questo
sudario con il sudario-mentoniera. La prova della risurrezione
consisterebbe nel fatto che le tele erano distese ed intatte sulla
pietra sepolcrale, fuorché dalla parte del capo, dove le
tele sarebbero rimaste sollevate, a causa del sudario-mentoniera,
che, rimasto avvolto ed arrotolato, le sosteneva dall'interno.
Ma giustamente il professor Delebecque denunciò
l'inconsistenza di questa interpretazione, che presenta molti punti
deboli, primo fra tutti il fatto che il sudario-mentoniera non
risultava visibile all'esterno, mentre Pietro e Giovanni vedono con
i propri occhi questo sudario (91).
b3. Infine altri fanno derivare la parola soudárion
dalla parola aramaica soudarâ, usata per indicare un
grandissimo telo, come abbiamo già detto (cfr. Parte seconda
2.D.).
b4. Scartata dunque l'ipotesi del sudario-mentoniera e scartate le
altre due che identificano il sudario o con la sindone o con un
telo grandissimo, e accettato che Giovanni intendeva parlare di un
sudario che stava sul capo di Gesù, all'esterno
perciò della grande tela, gli esegeti si trovano di nuovo
discordi nello stabilire il suo esatto impiego.
- G. Ghiberti riconosce che dall'esame dei testi, in cui si trova
la parola 'sudario' emerge che il senso prevalente è quello
di sudario posto sul volto del cadavere all'interno della sindone.
Ma, in questo caso, non sarebbe stato visibile. E Pietro non poteva
parlare di un sudario che non vedeva. Poi, ipotizzando che il
sudario sia sopra la sindone, si domanda perplesso quale funzione
svolga: 'Nel caso invece che il velo ricopra il lenzuolo, non si
comprende bene che cosa starebbe a fare' (92). Se Giuseppe
d'Arimatea lo ha posto all'esterno aveva le sue buone ragioni, che
illustreremo tra breve.
- R. Schnackenburg, nel suo commento al vangelo di Giovanni, dice
che il sudario era un velo posto sul volto e non una mentoniera
(93). Non specifica se fu posto sopra o sotto la grande tela.
- Si può pensare che il sudario fosse posto sul capo a modo
di cuffia, all'esterno della sindone e che non velasse il volto.
Hanno questa opinione quelli che accostano le fasce funerarie di
Gesù a quelle della natività; e nel sudario vedono la
cuffia.
- A me sembra che il sudario sia stato posto su tutto il capo di
Gesù. Infatti Giovanni usa la parola kephalê,
che corrisponde il latino caput e perciò vuol
significare 'capo' in opposizione al 'tronco’’. Questo
sudario, come precisa la testimonianza di Pietro al termine del
versetto, è avvolto attorno il capo di Gesù e svolge
la funzione che le fasce svolgono per il resto del corpo. Giuseppe
non ha reputato opportuno fasciare anche il capo con le
othónia, ma si è fermato al collo. A questo
punto, per non lasciare le piegature della sindone in disordine e
per non lasciare gli unguenti esposti all'aria senza protezione,
avvolse il capo di Gesù con un sudario. Dunque i sinottici
dicono che il corpo di Gesù, tutto intero (capo e tronco) fu
avvolto in una sindone; Giovanni aggiunge che al di sopra di questa
sindone c'erano le fasce che avvolgevano e legavano il tronco del
corpo di Gesù, mentre un sudario avvolgeva e legava il capo.
Per esprimere il concetto di avvolgere, Giovanni, per il sudario,
usa lo stesso verbo entylísso, usato da Matteo e
Luca, per indicare l'avvolgimento della sindone. Questa
interpretazione è in perfetto accordo cori quanto Pietro e
Giovanni videro, entrando nel sepolcro: le fasce ed il sudario.
Forse è meglio tradurre la frase conservando l'andamento
della proposizione giovannea: 'Che era sul capo di lui'
c. Ou metà tôn othoníon keímenon.
'Non per terra con le bende'.
Pietro comincia col determinare quale non era la posizione del
sudario. Secondo la traduzione italiana 'non era per terra con le
bende'. In realtà, Pietro vuole dire che il sudario non
è disteso sulla pietra sepolcrale.
I matematici greci dell'antichità usavano l'espressione
keímenon schéma, nel senso di 'figura in
piano, orizzontale' (vocab. greco Rocci). Pietro vuol dire la
stessa cosa: le fasce erano distese in piano, si trovavano in
posizione orizzontale, mentre il sudario non era in posizione
orizzontale, ma in posizione verticale, cioè rialzata.
Perciò la traduzione della frase è: 'Non con le fasce
distese'.
d. Allà khorìs entetyligménon. 'Ma
piegato a parte'.
Pietro, come era presumibile, continua a spiegare qual era l'esatta
posizione del sudario. L’infelice traduzione italiana
distrugge la mirabile traccia, che Pietro ha rilevato con grande
cura ed ha descritto con laconicità e chiarezza. Infatti la
traduzione contiene tre errori che stravolgono la testimonianza di
Pietro.
d1. Prima di tutto, il participio entetyligménon
è stato tradotto, arbitrariamente, con il participio
italiano 'piegato', invece che con 'avvolto'. Il verbo
entylísso corrisponde ai verbi italiani: 'Avvolgo,
involgo, ravvolgo' (vocab. greco-italiano Rocci). Conferma questo
significato il fatto che il verbo entylísso deriva
dal sostantivo entýle, che corrisponde all'italiano
'accappatoio, coperta' e perciò non può assolutamente
avere il significato di 'piego', perché l’accappatoio
e la coperta servono per avvolgere qualcuno o qualcosa e non per
piegare.
d2. Inoltre, è vero che l'avverbio khorìs
significa, in italiano, 'separatamente, a parte, in disparte' e,
per questo motivo, la Volgata rende la frase in latino sed
separatim involutum, cioè ma separatamente avvolto. Ma
è anche vero che lo stesso avverbio, in senso traslato,
può significare 'differentemente, al contrario' (vocab.
greco-italiano Rocci). Cioè l'avverbio khorìs
può assumere due significati: quello locale, che è
quello originario, e quello modale, che è quello traslato.
Pietro vuoi dare all'avverbio khorìs il significato
modale, perché la logica della sua testimonianza consiste
nell'opporre la posizione assunta dalle fasce (distese), a quella,
diversa, assunta dal sudario (avvolto). Non ha senso perciò
tradurre l'avverbio khorìs con l'avverbio italiano
'separatamente', perché non corrisponde alla dinamica del
pensiero di Pietro, invece è logico e naturale tradurlo con
l'avverbio 'al contrario', perché con tale avverbio si
chiarisce e si completa l'opposizione tra i due modi di essere
delle fasce e del sudario.
d3. Infine la traduzione italiana separa l'avversativo
allà dall'avverbio khorìs e malamente
traduce 'ma piegato (in un luogo) a parte', come se il sudario
magicamente piegato da qualcuno, fosse emigrato, per altro
inspiegabile mistero, in un luogo diverso da quello in cui si
trovavano le fasce. Pietro, intenzionalmente, ha posto
khorìs tra l'avversativo ed il verbo, perché
l'avverbio ha la duplice funzione di precisare sia l'avversativo
che il verbo. L'avverbio khorìs non deve essere tolto
dal posto che occupa, anche perché, insieme con
l'avversativo 'allà', oppone keímenon,
cioè disteso, a entetyligménon, cioè
avvolto: 'Non disteso, ma al contrario avvolto'.
Concludendo, la frase si deve tradurre in modo da rendere l'idea
che il sudario si trova in una posizione diversa da quella delle
fasce e non in un luogo diverso. Pietro contempla le fasce distese
sulla pietra sepolcrale e, sulla stessa pietra sepolcrale,
contempla anche il sudario, che, al contrario delle fasce, che sono
distese, è in posizione di avvolgimento, anche se non
avvolge più nulla. La traduzione esatta della frase
è: 'Ma al contrario avvolto'.
e. Eis héna tópon. 'In un luogo'.
Queste tre brevi parole, benché semplicissime, presentano
gravi difficoltà di traduzione e perciò anche di
interpretazione. I grecisti si sono divisi in due schiere: da una
parte, quelli che vorrebbero tradurle con l'espressione italiana:
'nello stesso luogo', o 'esattamente al suo posto' o 'nella
medesima posizione' o con altre espressioni simili; dall'altra,
quelli che invece negano recisamente la possibilità di una
tale traduzione e interpretano al contrario: 'in un luogo' o 'in un
luogo a parte', o 'in un altro posto', o con altre espressioni
simili.
e1. Difendono la prima interpretazione: A. Feuillet e M.
Balagué. Il Feuillet dà all'aggettivo numerale
heîs il valore ordinale prôtos, per cui
Pietro avrebbe visto il sudario 'nel primo luogo', cioè
'nello stesso luogo', dove si trovava prima della risurrezione. Il
Feuillet crede opportuno aggiungere anche un avverbio, per rendere
meglio il pensiero dell'apostolo, e traduce: 'Esattamente al suo
posto'. Il biblista francese, come abbiamo già accennato,
ritiene che il sudario, di cui si parla, sia la mentoniera, rimasta
rigida (egli dice: arrotolata ed avvolta) nell’interno della
Sindone. Per conseguenza, la Sindone sarebbe stata tutta stesa
sulla pietra sepolcrale, eccetto dalla parte capo, dove sarebbe
stata tenuta sollevata dalla mentoniera, rimasta rigida
nell'interno (94). Questa soluzione contrasta con la testimonianza
di Pietro, che dichiara di aver visto il sudario, mentre la
mentoniera non era visibile; inoltre il Feuillet pensa che il corpo
di Gesù sia stato avvolto solo nella Sindone, tenuta ferma
con le legature, ma, come abbiamo già detto, ciò
è impossibile, soprattutto dal punto di vista della pratica
realizzazione. Il Balagué considera l'espressione eis
héna tópon un semitismo con il quale Pietro vuole
esprimere il concetto: 'nello stesso luogo'. Infatti, aggiunge il
Balagué, se Pietro avesse voluto dire che il sudario, era in
un altro luogo, avrebbe detto: eis hétheron
tópon, come vien detto negli Atti: 'Pietro...
uscì e si incamminò verso un altro (héteron)
luogo' (Atti 12,17) (95). La Volgata traduce questa frase degli
Atti degli Apostoli: In alium locum. Bisogna convenire con
Balagué che l'espressione eis héna
tópon non può significare 'in un altro luogo' e
bisognerà tenerne conto quando si cercherà di
comprenderne il vero significato. In verità, sembrerebbe che
l'espressione eis héna tópon si debba
interpretare 'nello stesso luogo', anzi addirittura 'nella medesima
posizione'. Infatti l'aggettivo numerale heîs,
sorretto dalla preposizione eis prende il significato di
'stesso, medesimo', come per esempio: eis én (in uno,
insieme); oppure eis mían boulén
bouleúein (essere di uno stesso parere, cioè
all'unanimità) in Iliade ed in Tucidide (cfr. Vocab. Rocci e
vocab. Schenkl). Perciò, bene avrebbe tradotto la Volgata
Sisto-Clementina in unum locum, che significa 'nello stesso
luogo' o, ancor più chiaramente, 'nella stessa posizione'.
Infatti l'aggettivo numerale unus può avere due
significati particolari: da solo o unito con solus, come
rafforzativo, significa 'uno solo' (Credo in unum Deum =
Credo in un solo Dio); da solo o unito con idem, come
rafforzativo, significa 'lo stesso, il medesimo' (uno
tempore = nel medesimo tempo), come si legge in Cicerone e
Cesare, (cfr. Vocab. latino Calonghi). L' unum di Pietro
assumerebbe, qui, questo secondo significato particolare. Il
sudario sarebbe rimasto 'nella medesima posizione' o 'nello stesso
luogo', mentre le fasce avevano cambiato posizione perché
erano distese. Non presenta difficoltà il fatto che la
preposizione eis con l'accusativo denota direzione o
movimento verso un luogo. Infatti, non sempre la preposizione
eis con l'accusativo è usata per indicare un moto a
luogo in atto, bensì può essere anche usata per
indicare uno stato in luogo, conseguente di un moto a luogo,
già avvenuto in precedenza, come si legge in taluni
vocabolari greci: 'Ma talvolta si trova la preposizione eis
con l'accusativo con verbi di quiete (invece che en col
dativo), quando lo scrittore ha avuto in mira il movimento fatto
prima di giungere allo stato di quiete' (Vocab. greco Sanesi) (96).
Eis con l'accusativo si trova anche con i verbi di stato in
luogo, perché la mente in certa guisa premette l'idea di
arrivarci (Vocab. greco Bonazzi).
e2. Difendono la seconda interpretazione valenti grecisti, come
Edouard Delebecque. Essi sostengono che in nessun caso eis
héna tópon della testimonianza di Pietro,
riferita nel vangelo di Giovanni, può significare 'nello
stesso luogo'. Il Delebecque, così scrive a Bruno
Bonnet-Eymard a questo proposito: 'No, non può avere questo
significato. Potrete citate Gv 1,5 e 8, 13, in cui mia
sembra un ordinale, mentre si tratta del ‘giorno uno’
(mia femminile) e del giorno uno del primo (prôtos)
mese, in contrapposizione a deúteros. E questo senso
apparente si trova solo nella traduzione dei Settanta, mai nel
Nuovo Testamento, in cui il primo si dice sempre
prôtos e mai heîs. Non appellatevi ai
greco classico ed alle iscrizioni in cui, qualche volta,
heîs può significare ‘primo’, ma
soltanto se è accoppiato ad un aggettivo ordinale. In San
Giovanni heîs non può significare che
’uno, o avere anche il senso dell’infinito
tìs. Il senso di 'primo' è impossibile!' (97).
La risposta del Delebecque è sulla stessa linea di quanto
afferma M. Zerwick nel suo manuale di greco biblico: 'Alla generale
evoluzione della lingua greca (come anche delle altre lingue)
appartiene che già nel Nuovo Testamento il numerale
heîs prenda il posto di tìs e divenga
quasi un articolo indeterminativo (coll'aiuto insieme dell'influsso
semitico: dell'ebraico ehad e dell'aramaico had):
Heîs grammateús (Mt 8,19; cfr. Mc 9,17; 10,17);
eperotêso hymâs héna lógon (Mc
11,29)... ma i due si possono trovare anche insieme: heîs
tis (Lc 22,50)' (98). Perciò l'espressione eis
héna tópon si dovrebbe tradurre o 'in un luogo'
oppure 'in qualche luogo'. Sono debitore di queste delucidazioni al
professor Mario Cantilena, dell'Università di Venezia, a cui
va il mio ringraziamento. Esaminando attentamente le due opposte
traduzioni, si deve convenire che la seconda, propugnata da quei
grecisti che non hanno soluzioni precostituite da difendere,
è più logica e più conforme alla situazione,
in cui si trova Pietro, di quanto lo sia l'altra, che pure è
così allettante. Infatti Pietro contempla le fasce e il
sudario nell'interno del sepolcro, senza fare alcun riferimento
alla loro posizione prima della risurrezione. Perciò le
espressioni 'esattamente al suo posto' o 'nella medesima posizione'
non hanno alcun senso nella testimonianza di Pietro, perché
egli vuole stabilire il confronto tra la posizione delle fasce e
quella del sudario. Le fasce ed il sudario, che sono sotto gli
occhi di Pietro e che egli contempla sulla pietra sepolcrale
rendono errata anche ogni traduzione che interpreti l' eis
héna tópon come se il sudario fosse in un altro
luogo, in disparte, perché il sudario è sotto gli
occhi di Pietro che, senza muoversi, anzi, senza spostare lo
sguardo, lo contempla insieme con le fasce.
Ora ci troviamo in una situazione veramente imbarazzante. La
traduzione estremamente significativa 'nella medesima posizione',
che darebbe senso a tutto il versetto, è grammaticalmente
errata ed insostenibile, non solo nell'ambito del greco biblico ma
anche della logica del pensiero di Pietro. La traduzione
grammaticalmente esatta 'in un luogo' è del tutto
inespressiva e rende il versetto oscuro. Gli esegeti, fermi sulle
loro posizioni, non tentano neanche nuove vie, per cercare di
capire la testimonianza dell'apostolo, fondamentale per stabilire
la storicità della risurrezione di Gesù.
e3. In verità, esiste una terza traduzione,
grammaticalmente esatta, dell'espressione eis héna
tópon, che restituisce alla testimonianza di Pietro
tutto il suo valore di descrizione precisa e vivace. Leggiamo, per
intero, il versetto settimo, secondo la nuova interpretazione,
inserendo, nel finale, la versione 'in un luogo' sostenuta dai
grecisti: 'E il sudario, che era sul capo di lui, non con le fasce
disteso, ma al contrario avvolto in un luogo'. La traduzione 'in un
luogo' toglie al versetto ogni vigore perché lo conclude con
una espressione indeterminata; non chiarisce, ma piuttosto confonde
il significato della testimonianza. lì versetto, che
è stato inserito, per descrivere la posizione del sudario,
termina affermando che non si sa dove esso sia.
La testimonianza di Pietro diventa assurda, perché egli
avrebbe detto: 'E il sudario (inizio del versetto) è in un
luogo (fine del versetto)'.
A parte l'assurdità della testimonianza, dalla lettura del
versetto risulta evidente che Pietro vuole contrapporre la
posizione delle fasce a quella del sudario e che non vuole
contrapporre il luogo in cui si trovano le fasce al luogo in cui si
trova il sudario, perché, in questo caso, avrebbe dovuto
dire espressamente in quale luogo si trovavano le fasce.
Cioè, Pietro avrebbe dovuto precisare che le fasce erano
distese sulla pietra sepolcrale e che il sudario era invece avvolto
in un altro luogo diverso dalla pietra sepolcrale e avrebbe dovuto
nominarlo. Poiché Pietro non nomina nessun luogo in
particolare, è evidente che sia le fasce che il sudario si
trovano nello stesso luogo e che questo luogo non può essere
altro che la superficie della pietra sepolcrale. lnoltre, cosa
significherebbe che il sudario al contrario è avvolto 'in un
luogo'? Certo il sudario non può essere avvolto in
più luoghi; è ancora più illogico dire che era
in un luogo indeterminato, perché la precisazione non
avrebbe precisato nulla e sarebbe risultata del tutto pleonastica;
infine non può significare che è in un altro luogo,
perché allora Pietro avrebbe usato un aggettivo più
adatto allo scopo. Allora, si deve concludere che il sostantivo
tópos non si deve tradurre con il sostantivo italiano
'luogo', ma piuttosto con il sostantivo 'posizione'. Pietro,
infatti, contempla la posizione del sudario e non il luogo, in cui
il sudario si trova, che è certamente la pietra sepolcrale;
e non oppone i luoghi in cui le fasce ed il sudario si trovano, ma
oppone le rispettive posizioni: le fasce distese, il sudario
avvolto. Tradurre tópos con il sostantivo 'posizione'
non è un arbitrio, perché tópos ha
anche questo significato (cfr. vocab. greco-italiano Rocci).
Ma qual è la posizione del sudario, così
importante da dovergli dedicare un intero versetto per
descriverla? Pietro la precisa, con un tocco d'artista, per
mezzo di una preposizione eis e di un aggettivo numerale
héna. Abbiamo visto che questo aggettivo numerale
héna non può avere il significato di
prôtos e che perciò non si può tradurre
che il sudario stava 'nella medesima posizione'; che non si
può neanche sostenere che il sudario si trovi in un altro
luogo, diverso dalla pietra sepolcrale; infine, che non si
può neanche affermare che il sudario stia in un luogo
indeterminato, perché tale affermazione sarebbe inutile,
pleonastica e addirittura assurda; dobbiamo perciò
concludere che l'espressione heis héna deve avere un
altro significato, che renda viva e precisa la testimonianza di
Pietro. Il numerale heîs, mía, héna,
come si legge nel vocabolario greco-italiano del Bonazzi,
può essere usato con il significato di 'UNICO': 'Talora deve
tradursi ‘UNICO’ (in senso di eccellenza, specialmente
quando rinforza il superlativo che gli vien dopo)'. Questo è
il significato che Pietro ha voluto dare all'aggettivo numerale
héna. Il sudario, al contrario delle bende, era
avvolto in una posizione UNICA, nel senso di singolare,
eccezionale, irripetibile. Infatti, mentre avrebbe dovuto essere
disteso sulla pietra sepolcrale con le fasce, era invece rialzato
ed avvolto. La posizione del sudario appare unica per eccellenza
agli occhi di Pietro e poi di Giovanni, perché è una
sfida alla forza di gravità. Ora il versetto ha assunto il
suo vero significato e corrisponde ai logico svolgimento del
pensiero di Pietro: 'E il sudario (inizio del versetto) è in
una posizione unica (fine del versetto)'. Qualcuno potrebbe
respingere questa terza traduzione, sostenendo che, secondo quanto
si afferma nel manuale di greco biblico dello Zerwick, già
nel Nuovo Testamento il numerale heîs prende il posto
tìs e diviene quasi un articolo indeterminativo.
Questa regola non è così rigida come potrebbe
sembrare. Infatti nel Nuovo Testamento vi sono numerosi esempi in
cui heîs spesso assume il valore di 'unico' nel senso
di 'uno solo'. Esempi: - Dalla prima Lettera ai Corinzi di S.
Paolo: Hóti heîs ártos, hèn
sôma hoi polloí esmen. 'Poiché c'è
un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo' (1 Cor
10,17). - Dalla Lettera agli Ebrei: Miâ gàr
prosforà. 'Con un'unica oblazione' (Eb 10,14). - Dalla
Lettera di Giacomo: Hóstis gàr ólon
tòn nómon terése, ptaíse dè en
hení... . 'Poiché chiunque osservi tutta la
legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo...' (Gc 2,10). -
Dal Libro dell'Apocalisse: Hoûtoi mían
gnómen échousin 'Questi hanno un unico
intento' (Ap 17,13).
È vero che il numerale heîs nel greco biblico,
non può tradursi con il significato di prôtos,
come dice il Delebecque, ma non è vero che esso assuma
sempre il valore di un articolo indeterminativo. Infatti, dagli
esempi citati, risulta che spesso, nel Nuovo Testamento, viene
usato per significare 'unico' nel senso di 'uno solo'. Nel brano
che ci interessa, heîs è usato nel senso di
'unico per eccellenza'. Dunque la frase deve tradursi: 'In una
posizione unica'. Pertanto, i tre versetti, che abbiamo
analizzato e che costituiscono il cuore della testimonianza, si
possono tradurre così: 5. (Giovanni) chinatosi, scorge le
fasce distese, ma non entrò. 6. Giunge intanto anche Simon
Pietro che lo seguiva ed entra nel sepolcro e contempla le fasce
distese (afflosciate, vuote, ma non manomesse), 7. e il sudario,
che era sul capo di lui, non con le fasce disteso, ma al contrario
avvolto (rimasto nella posizione di avvolgimento, rialzato, ma non
sostenuto nell'interno, perché vuoto) in una posizione unica
(straordinaria, eccezionale, perché contro le leggi della
gravità)'. (Gv 20,5-7).
5.B.4. Una riflessione sulla testimonianza di
Pietro.
Agli occhi di Pietro le prime tracce della risurrezione di
Gesù si presentarono così: - Le fasce erano distese
sulla pietra sepolcrale, perché ormai vuote, ma intatte,
senza effrazioni o manomissioni. - Il sudario, al contrario, come
se ancora avvolgesse il capo di Gesù, era rimasto rialzato e
avvolto, irrigidito anche per l'improvviso asciugarsi degli
aromi.
Il cuore di questa testimonianza è costituito dalla
relazione di Pietro, che, rimasto in contemplazione dello
spettacolo straordinario, offerto dalla posizione delle fasce e del
sudario, non riesce a trarre nessuna conclusione logica.
L'incapacità di Pietro di comprendere ciò che
è accaduto nel sepolcro viene con fermata dall'evangelista
Luca, che narra così questo episodio: 'Pietro tuttavia corse
al sepolcro e chinatosì scorge solo le fasce (in alcuni
pregevoli codici è aggiunta anche la parola
keímena, cioè 'distese'): e se ne tornò
meravigliandosi tra sé per l'accaduto' (Lc 24,12).
Bisogna ammirare l'onestà di Pietro, perché non si
vergogna, a distanza di tempo, di ammettere che la sua fede nella
risurrezione non fu così pronta, come quella di Giovanni,
che vide e credette. E bisogna anche ammirare la fedeltà
storica di Giovanni e Luca, che per amore della verità, non
esitano a mettere in evidenza una certa lentezza di riflessi da
parte di colui che sarà il capo della Chiesa di Cristo.
Questa lentezza di riflessi di Pietro influenzerà
negativamente il cammino di fede degli apostoli, che crederanno
solo quando avranno visto Gesù risorto. Pietro, con la sua
indiscussa autorità di capo, impedisce a Giovanni, che
è ancora troppo giovane, di influenzare positivamente i suoi
amici, raccontando la sua meravigliosa esperienza nel sepolcro.
Infatti, i discepoli, in un racconto di Luca, dicono: 'Ma alcune
donne, delle nostre, ci hanno sconvolti, recatesi al mattino al
sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di
aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli
è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno
trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto'. (Lc
24,22-24). Ciò significa che Pietro confermò
sostanzialmente il racconto delle donne: il sepolcro era aperto ed
il corpo di Gesù non era nell'interno; ma non
confermò invece l'annuncio della risurrezione.
La testimonianza di Giovanni fu del tutto ignorata o perché
Giovanni non poté parlare, a causa di Pietro, o
perché il racconto della sua esperienza non fu creduto,
sempre a causa di Pietro, che non confermò la deduzione del
suo giovane amico. La lentezza di riflessi di Pietro viene messa in
evidenza da Giovanni anche in occasione di una apparizione di
Gesù in Galilea. I discepoli erano andati a pescare e,
all'alba, tornavano a riva, senza aver pescato nulla, quando un
uomo, dalla riva, li invitò a gettare le reti a destra della
barca. Essi gettarono le reti che subito si riempirono di pesci.
Immediatamente Giovanni riconobbe Gesù: 'Allora quel
discepolo che Gesù amava disse a Pietro: è il
Signore!' (Gv 21,7). Allora Pietro si gettò in mare per
raggiungere subito Gesù. è veramente interessante il
fatto che Giovanni ci abbia trasmesso la descrizione della
posizione del sudario fatta da Pietro ed abbia rinunciato a
descriverla con le sue parole. Forse, Giovanni intendeva
raggiungere due scopi. Prima di tutto, voleva lasciare a Pietro il
privilegio di fare la descrizione delle tracce, come gli aveva
lasciato l'onore di essere il primo ad entrare nel sepolcro; in tal
modo la descrizione delle tracce è risultata ancora
più credibile ed imparziale, perché Pietro non
comprese l'importanza di ciò che descriveva e non fu
influenzato dal pensiero che la sua descrizione sarebbe servita a
dimostrare la risurrezione del corpo di Gesù. Inoltre,
Giovanni ebbe modo di mettere in risalto, anche stilisticamente, la
prontezza con cui giunse alla fede: 'Entrò e vide e
credette', che assomiglia tanto alla frase lapidaria di Giulio
Cesare: 'Venni, vidi, vinsi'.