Trovato un passaggio intermedio tra la versione di
Uašte bbelle firmata da Francesco Paolo Votinelli e quella successiva del
1948, pubblicata su Histonium.
La fonte, segnalata da Nicola D'Adamo, è il Vastese
d’Oltreoceano. Che racconta una serata folkloristica di educazione musicale
promossa dall’Istituto Commerciale “N. Paolucci” al teatro comunale
Rossetti per la sera di domenica 14 maggio 1933. In programma una
conferenza di Luigi Anelli, direttore del giornale, su “Come
canta il popolo vastese”. In questa serata furono eseguite 20 canzoni
popolari vastesi, in dialetto e in lingua. Da un’orchestra di una decina di
elementi e cinque cantori sotto la guida del maestro concertatore al pianoforte
Aniello Polsi. Ha chiuso la serata «la canzone nostalgica:
Uaste belle, terra d’ore! dei nostri emigrati in America, che qui
riproduciamo, perché non conosciuta da noi» (dalla cronaca del
giornale). La conferenza era parte di un programma obbligatorio del Ministero
per rendere piů completa l’educazione musicale degli alunni. Nella conferenza,
secondo la cronaca del Vastese d’Oltreoceano, Anelli riassume
l’evoluzione della lirica popolare vastese «per poter dalle sue
rudimentali manifestazioni assorgere a dignitŕ artistica».
Si
possono così avere davanti, sinotticamente, le tre versioni della canzone
(vedi). Quella firmata da Votinelli si presenta come una
trascrizione della versione “costruita a voce” e cantata tra gli emigrati
vastesi a New York. Votinelli è andato via da Vasto nel 1909 tra i 17 anni e
i 18 anni. Allora il sistema scolastico era regolato dalla Legge Coppino
del 1877, che prevedeva 5 anni di scuola elementare (i primi 3 obbligatori) e
aveva come scopo primario l’alfabetizzazione e la diffusione dell’italiano a
sostituzione, inevitabilmente parziale, del dialetto. Non si sa se, dopo la
scuola, abbia iniziato l’apprendistato come sarto a Vasto. Ben presto decise il
grande salto e, in compagnia di una decina di vastesi, si imbarcò a Napoli per
New York. Dove esercitò l’arte della sartoria.
Il testo di Votinelli
rispecchia con molta plausibilità quello cantato nelle feste dei vastesi d’oltre
oceano. Testo fluido, non rigidamente codificato, anche se qualche
brogliaccio manoscritto poteva aiutare la memoria e unificare meglio le parti
cantate in coro. Questo canto in qualche modo arriva a Vasto. Dove viene
raccolto dalle varie compagnie di canto popolare, ma anche dai cultori del
dialetto che ne fanno una traduzione, riassestando la metrica
(e forse anche qualcosa della musica). Da qui nasce la versione del
1933. Analogo procedimento si puň immaginare per la versione del 1948.
In tutte le versioni il ritornello (vedi) e tre nuclei tematici (il ricordo (vedi),
il femminile (vedi), il mare (vedi)) sono simili e confrontabili. La versione del
1933 ha il sapore di un linguaggio ingentilito, piů simile al dialetto
abruzzese e all’italiano: puň indicarlo anche l’incertezza nel ritornello tra
«Ti putess’arividà’!» la prima volta e «Ti potesse
arividà’!» nelle repliche successive.Lo stesso Anelli nei suoi proverbi scrive diversamente (A lu rëcche i si méure la mâjje, a lu póvere i si méure l'ásene. ;
Acche tra Majje e 'Bbréile, vale nu quarre d'éure nghi tîtte chi li téire
). Forse il confronto può offrire
spunti ai cultori del dialetto.
Ma la versione iniziale di Votinelli
ha un altro nucleo tematico, che impegna ben dodici versi: il
brodetto. Cucinato all’aperto, alimentato dalla generosità del mare,
esaltato da un bel fiasco di vino. Questo tema è assente nelle traduzioni nel
vastese al di qua dell’oceano. C’è anche una spiegazione a portata di
mano: a lu Uašte bbelle tra il 1909 e il 1933 e il 1948 lu
brudatte - arredato secondo il pescato con i pescetti canonici
(panocchie, rusceule, mirlicce, ciangatte, tistuleine, così li chiama
Votinelli) - non č mai mancato. Ma nel Bronx, dove Votinelli ha
abitato, con l’acqua del mare mbuzzinite di bbinzeine e i pesci
dell’oceano, quel brodetto ma chi te lo dava?
Ma Votinelli si
ostinava a ricercare il tempo perduto usando la memoria involontaria della
grande letteratura del Novecento: «… quand d’un passé ancien rien ne subsiste
… l’odeur et la saveur restent encore longtemps … à porter l’édifice immense du
souvenir». E per questa ricerca lasciò l’America e la famiglia e rientrò
a Vasto.
Seguendo così il passaggio dalla poesia orale del
cantautore popolare alla rielaborazione, sempre dialettale ma colta, si
arriva non tanto a scoprire una vera Uašte bbelle, ma una Uašte
bbelle incompiuta. E non per caso, ma perché l’urgenza emotiva che
muove il cantautore (o i cantautori) non corrisponde al vissuto dei
traduttori. Che la tralasciano.
Dal confronto dei testi, oltre alla
precisazione di un percorso, può nascere allora un invito ai poeti dialettali a
completare l’opera sulle strofe del brodetto. Con l’aiuto, se serve,
della creativitŕ di alcuni cantori popolari.
Non è cosa strana. A un
livello incommensurabilmente pi&ůgrave; piccolo si puň imitare il modo in cui si è
costruita l’opera letteraria di un abruzzese con il maggiore impatto sulla
cultura occidentale per mobilitazione di energie creative. Il Dies
irae di Tommaso da Celano. “Ma per autore non bisogna qui
intendere uno spirito creatore … sì invece l’artefice che … lavora una forma
più soddisfacente che tutte le altre fatte allo stesso fine…”.
Almeno così parlò don Benedetto.
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