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appunti

Ricordiamoci di don Antonio…

Il 30 settembre è scomparso, in età avanzata, don Antonio Persili. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo. Nel 1994, quando ho cominciato ad occuparmi della pubblicazione del suo libro sulla storia di Ciciliano, mi aspettavo un’arida rassegna di documenti e un prete erudito. Alle prese con la ‘missione impossibile’ della storia di una località minore.

Ho trovato, invece, un testo inevitabilmente parziale (sottotitolo: ‘frammenti di storia di un popolo’), ma con una narrazione vivace, in cui la deduzione investigativa e l'applicazione di una sorta di ‘modello standard’, sopperivano ai buchi delle fonti (che don Antonio schiettamente riconosceva, rammaricandosi di non aver potuto fare più approfonditi rilievi archeologici e ‘di campo’). Don Antonio si era innamorato dei Cicilianegli, leggendo della storia dei conflitti con il marchese e con il fugace potere napoleonico e aveva cercato di scavare nel passato, alla ricerca delle origini di quella che gli sembrava un’affascinante identità di popolo.

E così ha aperto una strada. Poi, e ancor oggi, seguita da altri. Era il suo personale demone, l’irrinunciabile istinto a seguire ‘virtute e canoscenza’.

Che lo ha portato alla sua opera principale: Sulle tracce del Cristo risorto, del 1988, in cui traduce in modo nuovo, plausibile e coerente, il brano del vangelo di Giovanni riguardante la resurrezione (Gv. 20,3-9). Smontando letture più blasonate e più accreditate dall’establishment (come la traduzione offerta dalla CEI). E, infatti, le case editrici rifiutano la pubblicazione e don Antonio lo fa stampare a proprie spese. Scegliendo, pur nella cura dell'esame filologico, un taglio letterario 'investigativo'.

Ora, sul piano scientifico, scoprire qualcosa di diverso in un testo passato al microscopio da circa millenovecento anni è un’innovazione straordinaria.

Quando don Antonio mi ha donato alcune copie del libro, gli ho proposto subito di pubblicarne il ‘capitolo centrale’ su questo sito, e lui ha accettato contento, nonostante la modesta potenza divulgativa (v. sotto, Antonio Persili, Sulle tracce del Cristo risorto, Tivoli, 1988).

Solo molti anni dopo la pubblicazione, nel 2001, la pubblicistica cattolica ha scoperto questo testo. Uno scrittore divulgatore ne ha parlato in un suo libro e in articoli di rivista, poi è arrivata pure la televisione a intervistarlo. E adesso l’esegeta outsider don Antonio viene ricordato da un tempio del giornalismo inside, come l'Osservatore Romano: “… Anche don Antonio, in un certo senso, non ha potuto terminare un’impresa, quella della comprensione della verità, che in fondo è senza fine. Ma questo, anziché scoraggiare, deve invogliare a non interrompere la ricerca. ...” (Carola Vizzaccaro, In memoria di don Antonio Persili, parroco ed esegeta, 7 ottobre 2011, pag. 4).

Questo libro ha causato discussioni: in alcune don Antonio rischia di passare come un irragionevole dogmatico. Niente di più lontano dal suo modo di pensare e di fare: nel periodo dell’intervista televisiva sono stato a trovarlo più volte e ho avuto da lui le fotocopie degli articoli usciti sul suo libro. Abbiamo parlato dell’intervista ed anche dell’interpretazione del brano dell’evangelista Giovanni. Gli ho fatto un’obiezione di metodo. La sua traduzione mi sembrava più circostanziata e persuasiva rispetto a quella della Bibbia della CEI, ma non se ne poteva inferire la prova della resurrezione: finché si restava dentro il perimetro del racconto, la sua interna coerenza non poteva provare che esso corrispondesse all'effettivo svolgimento dei fatti. Tanto più che era stato scritto diverso tempo dopo i fatti narrati.
Don Antonio ha ascoltato con attenzione. Era il suo stile: la sua radicale onestà intellettuale lo portava a riflettere anche sulle ragioni più lontane dalle sue convinzioni.

L'ultimo ricordo è all'aria aperta: in una primavera di qualche anno fa, l'ho incontrato in cammino lungo la strada verso Sambuci. Con un libro aperto. Mi sono fermato a salutarlo, studiava le letture della domenica e meditava il commento. Aveva parcheggiato la sua 126 su un piccolo slargo, era una giornata di sole. Ci siamo salutati con grande cordialità e l'ho lasciato alla sua ricerca della verità, assorbendo il tepore del sole e il risveglio della natura.

A Ciciliano il modo migliore di ricordarlo è continuare il suo lavoro di scoperta del passato. Questo è stato fatto, ed è in corso. Bisogna augurarsi che continui. Magari aggiungendoci un pizzico di futuro.

Mauro Ferrara