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Terra nostra di Espedito Ferrara



Sul frontespizio dell’originale di quest'opera c'è la dicitura, dattiloscritta, ‘Argomento drammatico per teatro, televisione e cinema...’. A mano c'è l'aggiunta dell'autore 1941 non ancora rappresentata. È altamente improbabile che nel 1941 si potesse immaginare un testo drammatico per la televisione (in Italia c’erano state trasmissioni sperimentali di breve raggio nel 1939 e nel 1940, la prima vera trasmissione arriverà nel 1954 ). Il frontespizio dattiloscritto è da considerare successivo, ma l'autore ha voluto richiamare l'anno della composizione, il 1941.

L’architettura dell’opera è intenzionalmente flessibile e modulare: ‘La divisione nei quattro episodi ed un epilogo, e di questi nelle rispettive scene, è semplicemente indicativa.’ L’opera si può considerare come linee-guida per una regia. Linee-guida che consentono, eventualmente, un diverso montaggio dei componenti.

Le informazioni di servizio delle scene che la compongono sono completate da un commento, spesso molto dettagliato, sugli stati d'animo, sulle ragioni dei comportamenti degli attori, su usanze e costumi locali, sull’ambientazione naturale delle scene. Alcune scene sono di solo commento.

Con questo corredo si può anche immaginare quest’opera come una sorta di racconto lungo, i cui dialoghi sono incorniciati nelle scene. Tanto più che il focus dell'argomento drammatico, più che sulla vicenda o sui personaggi, appare centrato su una rappresentazione antropologica, sul senso del sacro e la religione (o i sincretismi religiosi ) delle popolazioni contadine abruzzesi.




Le prime opere della letteratura greca, i poemi omerici ed esiodei, forniscono una definizione antropologica e normativa, esclusiva e inclusiva, della condizione umana. L'uomo è escluso dai tempi divini dell'età dell'oro; egli esiste solo per opera del lavoro condotto in seno alla comunità familiare, l'oikos. L'uomo non è neanche un cannibale: "questa legge infatti stabilì per gli uomini il Cronide, che i pesci e le fiere e gli uccelli alati si mangiassero a vicenda, poiché giustizia non è in essi" (Esiodo, Le opere e i giorni, 276-278 ). L'Odissea tutta intera propone la stessa definizione. I viaggi di Odisseo sono viaggi fuori dalla terra dell'uomo, dove egli incontra dèi, morti, cannibali e mangiatori di loto. L'uomo, che è, certamente, un Greco, è un "mangiatore di pane". (P. Vidal-Naquet, Il cacciatore nero, Forme di pensiero e forme d'articolazione sociale nel mondo greco antico, Milano, 2006, pag. 16 )


Chi nega l' attività degli dei e il loro prendersi cura degli uomini spoglia la vita hominum del suo senso. Se infatti gli dei non fanno nulla per gli uomini, nessuna pratica rituale ha più ragion d'essere. Perché dovremmo rendere un culto ad esseri indifferenti, insensibili alle nostre preghiere e incapaci di gratitudine? La pietas non sarebbe dunque più giustificata. Ma insieme con la pietas ben altri valori perdono ogni fondamento: la fides, la fiducia reciproca, la societas e, infine, la giustizia. Insomma, il legame sociale con tutte le sue regole crolla dal momento che si cessa di credere che gli dei ne sono responsabili, che questo li riguarda o, quanto meno, li interessa in certa misura. Vale a dire che l'etica dei rapporti fra gli uomini dipende esclusivamente dallo sguardo attento che gli dei rivolgono loro. Si ammetta che gli Immortali ci ignorano, e noi ci distorremo da loro, con ciò stesso venendo meno al rispetto per i nostri simili. (G. Sissa e M. Detienne, La vita quotidiana degli dei greci, Bari, 2005, pag. 118 )


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